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Global Strike: nuova religione, certezze piccine come Greta

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Con Greta, oppure contro Greta: è indifferente, purché si dia spettacolo. Lo spiega il regista Massimo Mazzucco: intanto, i primi vincitori dell’operazione sono i media. Negli odierni palinsesti televisivi, sempre più stanchi, ogni minuto di ascolto vale oro, in termini pubblicitari. La ragazzina svedese infatti fa audience, e nel modo più comodo e inoffensivo: agita nobili ideali e solleva grandi interrogativi, ma senza mai allarmare il potere. La baby-agitazione sul clima non prevede, domattina, nessun G20 e nessun referendum. Solo parole al vento? Non per forza: può anche darsi che il seme gettato da Greta – diventare più responsabili verso l’ambiente – possa dare frutto, domani, tra i giovanissimi di oggi, quando saranno chiamati a votare e a scegliere leader meno “distratti”. Il rovescio della medaglia è lampante: il rischio è quello di appiattire masse immense su una sorta di non-pensiero, fondato su un assioma indimostrato: e cioè che il surriscaldamento climatico in corso sarebbe senza precedenti, nonché di origine umana. Sicuri? Per nulla: sull’attuale impatto ambientale in termini di temperature si accettano scommesse, mentre se c’è una certezza è proprio questa: la Terra si è sempre surriscaldata, per poi tornare a raffreddarsi fino a congelarsi, molto prima della nostra civiltà industriale. Quanto tempo prima, esattamente?

Anche qui, niente è scontato: il più grande sconvolgimento che abbia colpito il pianeta nelle ultime migliaia di anni è diventato verità scientifica soltanto nel 2014, grazie alle scoperte dei geofisici. Non fu colpa delle industrie, ovviamente, ma delle comete Pioggia di meteoritiche grandinarono prima sull’Alaska e sul Canada, e poi tra le onde del Nord Atlantico. Accadeva 12.000 anni fa. Nel giro di un’ora, migliaia di frammenti cometari colpirono la Terra facendo “esplodere” tutti i vulcani. Collasso termico: grazie a polveri e vapori, nel grande buio le temperature precipitarono di 8 gradi, dando vita a un’inattesa glaciazione di origine extraterrestre durata oltre mille anni, che comportò catastrofiche estinzioni di massa. Avvicinandoci di molto alla nostra epoca, il professor Alberto Prestininzi, ordinario alla Sapienza di Roma e fondatore del Centro di ricerca, previsione e controllo dei rischi geologici, ricorda che i due più recenti periodi di riscaldamento globale si sono verificati uno in epoca romana, circa 2000 anni fa, mentre l’ultimo, noto come “periodo caldo medievale”, iniziò circa 950 anni or sono e durò 500 anni. Notare: i modelli impiegati dai climatologi dell’Onu, considerati alla stregua del Vangelo (dai “gretini” e non solo), non sono in grado di spiegare questi due clamorosi riscaldamenti globali dell’era pre-industriale.

Ma le prove di quanto siano fallaci i modelli utilizzati per dichiarare lo “Sciopero globale per il clima” ci sono pure nel presente, scrive Attilio Barbieri su “Libero”: prove che smentiscono uno dei pilastri dell’allarme globale. Vale a dire, è ancora il professor Prestininzi a parlare, «la favola che la Nasa fornisca dati che concordano con quelli del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico», il mitico Ipcc. «Basta dare un’occhiata al grafico sulla copertura dei ghiacci nelle calotte polari, pubblicato proprio dall’agenzia spaziale americana: mentre nell’emisfero Nord i ghiacci si riducono, in quello Sud, in Antartide, continuano ad espandersi». Il che non può giustificare, in nessun modo, il criminale disinteresse per le sorti di un ecosistema sfruttato in modo impietoso, intossicato dai fumi e invaso dalla plastica. Anche se la teologia di Greta Thunberg propone il dogma dell’equazione inquinamento-clima, gli oceani – sempre secondo gli scienziati – starebbero mostrando segni Alberto Prestininzidi alterazione preoccupante, anche a causa dei veleni immessi in atmosfera, sotto cieli “rigati” dalle strane scie – tuttora inspiegate – rilasciate da decine di migliaia di aerei, negli ultimi quindici anni, e di cui si continua a non parlare (non c’è caso che l’espressione “scie chimiche” trovi posto nella predicazione della Thunberg).

Tra gli oppositori di Greta si schiera con decisione il giornalista-opinionista Filippo Facci, che definisce la svedese «una ragazzetta ringhiante di 16 anni, che siamo liberissimi di criticare e sfottere in quanto, benché manovrata, è una leader adulta le cui parole determinano conseguenze adulte». Greta si è presa un intero anno sabbatico, disertando la scuola? «La conseguenza è nota: il nuovo Toninelli, ossia il ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti, ha invitato tutti i presidi a considerare giustificate le assenze degli studenti che hanno aderito al “Global Strike For Future”, e poi ha pure parlato della “necessità improrogabile di un cambiamento rapido dei modelli socio-economici imperanti”. Per i più anziani: ridateci Mario Capanna, che almeno non era ministro dell’istruzione e, agli studenti, non additava a modello una ragazzetta che ha deciso di saltare la scuola ogni venerdì e in seguito di saltare un intero anno scolastico per dedicarsi all’ambiente, questo naturalmente all’interno di un’operazione di marketing mediatico e politico senza la quale sarebbero intervenuti gli assistenti sociali e sarebbe stata bocciata».

Chi manifesta, continua Facci su Facebook, ha sempre ragione e ha sempre torto: è questa «la banale verità legata alla nostra faziosità». Ma per che cosa si manifesta? Ovvero: qual è il messaggio di Greta? La catastrofe imminente, la fine del mondo dietro l’angolo. E soprattutto «la certezza – assolutamente falsa, e smentita anche da scienziati che la Thunberg cita continuamente – che il pianeta si sta surriscaldando solo per colpa nostra». Aggiunge Facci: «E’ indubbio che il riscaldamento globale sia causato anche dall’uomo, ma non è calcolabile con precisione quanto, e questo rende difficile capire anche quanto si possa realmente incidere nel contenerlo». A fronte di questo, «l’ultima cosa che serve è il clima elettrico che si respirava alle manifestazioni di questi giorni». Qualsiasi scelta si faccia in futuro, «la storia insegna che a far cambiare le cose è il riformismo, non le rivoluzioni emotive: non si riconverte un modello di sviluppo in venti minuti, posto che ci si metta Filippo Faccid’accordo su quanto e come l’uomo aggravi la situazione ambientale». In effetti, «è ridicolo pensare che le emissioni possano calare perché le nazioni “si impegnano” o perché il Papa o Greta Thunberg hanno fatto un’enciclica».

I buoni e i cattivi: è solo questa la lezione che i ragazzi manifestanti – saltando la scuola – pare stiano imparando sulla scia della “ragazzetta” svedese? A scuola, ad esempio, avrebbero potuto insegnargli che i cambiamenti climatici «sono in massima parte dovuti a fattori naturali (si può fare l’esempio della Groenlandia che era verde, della mezzaluna fertile in Mesopotamia, di quando Annibale attraversò le Alpi con gli elefanti in periodi in cui faceva molto più caldo di ora) o ancora si può citare la “piccola glaciazione” tra il 1500 e il 1600». Ci sono azioni naturali che fanno impallidire quelle dell’uomo (basti pensare a certe devastanti eruzioni vulcaniche) ma la difficoltà nel calcolare a nostra influenza sul riscaldamento «non toglie che l’influenza ci sia», anche se lo stesso Carlo Rubbia, Premio Nobel per la Fisica, nega che le nazioni del mondo siano in grado di abbassare la produzione di anidride carbonica. E allora che facciamo? «Certo non ce lo diranno i lobbisti-negazionisti dell’industria energetica e petrolifera, ma neppure Greta Thunberg», conclude Facci, in un mondo globalizzato e condizionato dall’unica legge del business: «Abbassare la temperatura di 2 gradi comporterebbe un abbattimento del Pil mondiale da 2 al 6 per cento, e nessuno se lo sobbarcherà da solo».

Cina, Russia, India e Brasile hanno posizioni rivendicative, e cioè dicono: ma come, inquinate da 200 anni e volete fermarci ora che ci stiamo sviluppando? Gli Usa invece con Trump sono diventati protezionisti «anche perché hanno scoperto che un americano inquina tre volte un cinese, mentre l’Europa è abituata a far la prima della classe ma poi le scoppiano i casi Volkswagen». Negli Stati Uniti si parla di riutilizzo di gas naturale a zero emissioni, l’Europa sta puntando sullo sviluppo delle energie rinnovabili («costose, con poca resa, perlopiù non trasportabili») e in Cina come negli Usa lo “shale gas” sta diventando regola: è il cosiddetto “gas di scisto” intrappolato nelle rocce a circa 2-3 chilometri di profondità, nelle rocce sedimentarie. «Poi ci sarebbero i clatrati – che Rubbia ha citato nella commissione ambiente del Senato, nel gennaio 2016, Il Global Strike for Futurelasciando tutti interdetti». Disponibili nelle profondità degli oceani, i clatrati sono, in sostanza, «metano in quantità infinita». Ma anche questa soluzione, dice ancora Facci, non pare interessare alla comunità mondiale: «Che nega oppure si fustiga, si colpevolizza e soprattutto si crogiola nel proprio antropocentrismo».

Facci allarga l’orizzonte, oltre il momento presente (la cui declinazione italiana affonda nel ridicolo, con il surreale “green new deal” propalato dal Conte che tasserebbe volentieri le merendine a scuola). Per Facci, l’umanità «si è illusa che a salvare o distruggere la biosfera di un intero pianeta possa essere una volontà politica, e non – come capita da milioni di anni in tutto l’universo – la natura stessa». Secondo il professor Prestininzi, uno dei 500 scienziati che hanno rivolto all’Onu un appello che smentisce l’allarmismo di Greta, le proiezioni impiegate per dichiarare l’emergenza climatica vengono demolite dai dati reali rilevati negli ultimi 15 anni. I modelli dell’Ipcc, dice, «sono incapaci di simulare ciò che è avvenuto negli ultimi cinquemila anni», ovvero un lasso di tempo molto ampio, nel corso del quale «si sono verificate forti variazioni della temperatura globale, in presenza però di concentrazioni molto basse di anidride carbonica nell’atmosfera». Tralasciando per un attimo le controversie climatologiche e geofisiche, è impossibile non vedere il “frame” nel quale il fenomeno Greta circoscrive il pensiero, artificiosamente lineare, di milioni di individui: il cambiamento climatico – presentato come eccezione, anziché consuetudine fisiologica della Terra – viene declassato al rango E.T. l'extraterrestre di Spielbergdi guasto socio-politico (rimediabile, benché gravissimo). Corollario: il senso di colpa che inonda i consumatori, convinti di esserne la causa principale.

Una forma di ipnosi collettiva, in sostanza, che ricorda la forma mentis bimillenaria fabbricata dall’invenzione del peccato originale: semplice letteratura, da Paolo di Tarso a Sant’Agostino, creata deformando platealmente la Genesi. Sottomissione: è lo schema psicologico, comodissimo, su cui si fonda qualsiasi dominazione. Come molte altre, anche la religione di Greta Thunberg prospetta un mondo virtuale, tridimensionale e sostanzialmente lineare, fondato su certezze presentate come incontrovertibili. La riedizione social del verbo millenarista aiuterebbe a orientarsi nel grande caos dell’inconoscibile, se solo fosse una bussola attendibile. La grande notizia di quest’ultimissima fase, invece, è proprio la frana vistosa di moltissime credenze consolidate. Le recenti smagliature nella storica reticenza delle autorità militari in materia di vita extraterrestre, per esempio, minano in modo devastante quel che resta dell’antico antropocentrismo, di cui il culto di Greta sembra rinverdire i fasti. La scienziata italiana Barbara Negri parla di “vita-forming”, dando piena dignità accademica alla suggestiva rilettura dei testi antichi (inclusa la Bibbia) che raccontano l’origine dell’homo sapiens come prodotto genetico ottenuto a tavolino, mediante clonazione, ad opera di misteriosi visitatori alieni. E se fosse proprio così?

Ipotesi: se l’umanità fosse realmente una sorta di esperimento zootecnico controllato a distanza, davvero gli evolutissimi allevatori lascerebbero ai rozzi umani la possibilità di autodistruggere impunemente l’allevamento, inquinandolo a morte a causa della loro cieca avidità? Siamo fatti “della stessa sostanza del Padre”, come il credo niceno afferma del Cristo, “generato, non creato”? Siamo stati progettati “a immagine e somiglianza” dell’ipotetica divinità? E’ questione di parole, avverte il biblista Mauro Biglino: l’Antico Testamento dice che, in realtà, il prototipo maschile (l’Adàm) è stato fabbricato “con la sostanza che contiene l’immagine”, cioè con il Dna. Siamo figli delle stelle, o almeno pronipoti degli antichi astronauti di cui parlano tutte le civiltà primitive? Il sapere ufficiale esita ad ammetterlo: anche perché l’archeologia, afferma uno storico indipendente come Nicola Bizzi, è rimasta l’unica branca della conoscenza a non contemplare l’utile incrocio delle competenze multidisciplinari. Antichi astronauti?In altre parole: geologi e palentologi, biologi e climatologi arrivano laddove gli archeologi non osano ancora spingersi. Cioè a rivoluzionare radicalmente la datazione dell’intera nostra cronistoria civile, fino a ieri ferma alla Mesopotamia sumerica.

Nell’Ottocento fu canzonato all’unisono da tutti i circuiti scientifici, il commerciante tedesco Heinrich Schiemann, quando sostenne di poter rintracciare le rovine di Troia basandosi sui versetti dell’Iliade. Oggi, analoghi sapientoni si rifiutano di riconoscere la clamorosa scoperta di Semir Osmanagich, antropologo già in forza all’università di Houston: stando al radiocarbonio, le gigantesche piramidi di Visoko, rinvenute a mezz’ora da Sarajevo, furono erette non meno di 30.000 anni fa, con ciclopici mattoni di calcestruzzo. Da chi? Nessuno sa rispondere nemmeno sull’origine del complesso monumentale affiorato recentemente a Göbekli Tepe, in Turchia: è datato 11.500 anni, più o meno all’epoca della “pioggia cometaria” che devastò il pianeta, fino a produrre – dopo la glaciazione – la gigantesca alluvione (il diluvio universale?) che ridisegnò la geografia delle terre emerse, sommergendo intere civiltà rivierasche. Chi c’era sulla Terra, al posto nostro, dodicimila anni fa? La verità è che non lo sappiamo – almeno, non ancora. E facciamo di tutto per continuare a non saperlo, ostacolando i giovani archeologi che oggi mettono in discussione le antiche sicurezze. In compenso, siamo arruolati (a milioni) nella nuova religione della Thunberg, basata sul gossip scientista del trend apocalittico dell’ultima moda ecologista. Un “frame” angusto ma etico, politicamente corretto come vuole l’élite mondialista neoliberale: una fede perfetta per intubare l’orizzonte dentro pretese certezze, piccine come Greta.

Con Greta, oppure contro Greta: è indifferente, purché si dia spettacolo. Lo spiega il regista Massimo Mazzucco: intanto, i primi vincitori dell’operazione sono i media. Negli odierni palinsesti televisivi, sempre più stanchi, ogni minuto di ascolto vale oro, in termini pubblicitari. La ragazzina svedese infatti fa audience, e nel modo più comodo e inoffensivo: agita nobili ideali e solleva grandi interrogativi, ma senza mai allarmare il potere. La baby-agitazione sul clima non prevede, domattina, nessun G20 e nessun referendum. Solo parole al vento? Non per forza: può anche darsi che il seme gettato da Greta – diventare più responsabili verso l’ambiente – possa dare frutto, domani, tra i giovanissimi di oggi, quando saranno chiamati a votare e a scegliere leader meno “distratti”. Il rovescio della medaglia è lampante: il rischio è quello di appiattire masse immense su una sorta di non-pensiero, fondato su un assioma indimostrato: e cioè che il surriscaldamento climatico in corso sarebbe senza precedenti, nonché di origine umana. Sicuri? Per nulla: sull’attuale impatto ambientale in termini di temperature si accettano scommesse, mentre se c’è una certezza è proprio questa: la Terra si è sempre surriscaldata, per poi tornare a congelarsi, molto prima della nostra civiltà industriale. Quanto tempo prima, esattamente?
Anche qui, niente è scontato: il più grande sconvolgimento che abbia colpito il pianeta nelle ultime migliaia di anni è diventato verità scientifica soltanto nel 2014, grazie alle scoperte dei geofisici. Non fu colpa delle industrie, ovviamente, ma delle comete che grandinarono prima sull’Alaska e sul Canada, e poi tra le onde del Nord Atlantico. Accadeva 12.000 anni fa. Nel giro di un’ora, migliaia di frammenti cometari colpirono la Terra facendo “esplodere” tutti i vulcani. Collasso termico: grazie a polveri e vapori, nel grande buio le temperature precipitarono di 8 gradi, dando vita a un’inattesa glaciazione di origine extraterrestre durata oltre mille anni, che comportò catastrofiche estinzioni di massa. Avvicinandoci di molto alla nostra epoca, il professor Alberto Prestininzi, professore ordinario alla Sapienza di Roma e fondatore del Centro di ricerca, previsione e controllo dei rischi geologici, ricorda che i due più recenti periodi di riscaldamento globale si sono verificati uno in epoca romana, circa 2000 anni fa, mentre l’ultimo, noto come “periodo caldo medievale”, iniziò circa 950 anni or sono e durò 500 anni. Notare: i modelli impiegati dai climatologi dell’Onu, considerati alla stregua del Vangelo (dai “gretini” e non solo), non sono in grado di spiegare questi due clamorosi riscaldamenti globali dell’era pre-industriale.
Ma le prove di quanto siano fallaci i modelli utilizzati per dichiarare lo “Sciopero globale per il clima” ci sono pure nel presente, scrive Attilio Barbieri su “Libero”: prove che smentiscono uno dei pilastri dell’allarme globale. Vale a dire, è ancora il professor Prestininzi a parlare, «la favola che la Nasa fornisca dati che concordano con quelli del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico», il mitico Ipcc. «Basta dare un’occhiata al grafico sulla copertura dei ghiacci nelle calotte polari, pubblicato proprio dall’agenzia spaziale americana: mentre nell’emisfero Nord i ghiacci si riducono, in quello Sud, in Antartide, continuano ad espandersi». Il che non può significare, in nessun modo, il criminale disinteresse per le sorti di un ecosistema sfruttato in modo impietoso, intossicato dai fumi e invaso dalla plastica. Anche se la teologia di Greta Thunberg propone il dogma dell’equazione inquinamento-clima, gli oceani – sempre secondo gli scienziati – starebbero mostrando segni di alterazione peroccupante, anche a causa dei veleni immessi in atmosfera, sotto cieli “rigati” dalle strane scie – tuttora inspiegate – rilasciate da decine di migliaia di aerei, negli ultimi quindici anni, e di cui si continua a non parlare (non c’è caso che l’espressione “scie chimiche” trovi posto nella predicazione della Thunberg).
Tra gli oppositori di Greta si schiera con decisione il giornalista-opinionista Filippo Facci, che definisce la svedese «una ragazzetta ringhiante di 16 anni, che siamo liberissimi di criticare e sfottere in quanto, benchè manovrata, è una leader adulta le cui parole determinano conseguenze adulte». Greta si è presa un intero anno sabbatico, disertando la scuola? «La conseguenza è nota: il nuovo Toninelli, ossia il ministro dell’istruzione Lorenzo Fioramonti, ha invitato tutti i presidi a considerare giustificate le assenze degli studenti che hanno aderito al “Global Strike For Future”, e poi ha pure parlato della “necessità improrogabile di un cambiamento rapido dei modelli socio-economici imperanti”. Per i più anziani: ridateci Mario Capanna, che almeno non era ministro dell’istruzione e, agli studenti, non additava a modello una ragazzetta che ha deciso di saltare la scuola ogni venerdì e in seguito di saltare un intero anno scolastico per dedicarsi all’ambiente, questo naturalmente all’interno di un’operazione di marketing mediatico e politico senza la quale sarebbero intervenuti gli assistenti sociali e sarebbe stata bocciata».
Chi manifesta, continua Facci su Facebook, ha sempre ragione e ha sempre torto: è questa «la banale verità legata alla nostra faziosità». Ma per che cosa si manifesta? Ovvero: qual è il messaggio di Greta? La catastrofe imminente, la fine del mondo dietro l’angolo. E soprattutto «la certezza – assolutamente falsa, e smentita anche da scienziati che la Thunberg cita continuamente – che il pianeta si sta surriscaldando solo per colpa nostra». Aggiunge Facci: «E’ indubbio che il riscaldamento globale sia causato anche dall’uomo, ma non è calcolabile con precisione quanto, e questo rende difficile capire anche quanto si possa realmente incidere nel contenerlo». A fronte di questo, «l’ultima cosa che serve è il clima elettrico che si respirava alle manifestazioni di questi giorni». Qualsiasi scelta si faccia in futuro, «la storia insegna che a far cambiare le cose è il riformismo, non le rivoluzioni emotive: non si riconverte un modello di sviluppo in venti minuti, posto che ci si metta d’accordo su quanto e come l’uomo aggravi la situazione ambientale». In effetti, «è ridicolo pensare che le emissioni possano calare perché le nazioni “si impegnano” o perché il Papa o Greta Thunberg hanno fatto un’enciclica».
I buoni e i cattivi: è solo questa la lezione che i ragazzi manifestanti – saltando la scuola – pare stiano imparando sulla scia della “ragazzetta” svedese? A scuola, ad esempio, avrebbero potuto insegnargli che i cambiamenti climatici «sono in massima parte dovuti a fattori naturali (si può fare l’esempio della Groenlandia che era verde, della mezzaluna fertile in Mesopotamia, di quando Annibale attraversò le Alpi con gli elefanti in periodi in cui faceva molto più caldo di ora) o ancora si può citare la “piccola glaciazione” tra il 1500 e il 1600». Ci sono azioni naturali che fanno impallidire quelle dell’uomo (basti pensare a certe devastanti eruzioni vulcaniche) ma la difficoltà nel calcolare a nostra influenza sul riscaldamento «non toglie che l’influenza ci sia», anche se lo stesso Carlo Rubbia, Premio Nobel per la Fisica, nega che le nazioni del mondo siano in grado di abbassare la produzione di anidride carbonica. E allora che facciamo? «Certo non ce lo diranno i lobbisti-negazionisti dell’industria energetica e petrolifera, ma neppure Greta Thunberg», conclude Facci, in un mondo globalizzato e condizionato dall’unica legge del business: «Abbassare la temperatura di 2 gradi comporterebbe un abbattimento del Pil mondiale da 2 al 6 per cento, e nessuno se lo sobbarcherà da solo».
Cina, Russia, India e Brasile hanno posizioni rivendicative, e cioè dicono: ma come, inquinate da 200 anni e volete fermarci ora che ci stiamo sviluppando? Gli Usa invece con Trump sono diventati protezionisti «anche perché hanno scoperto che un americano inquina tre volte un cinese, mentre l’Europa è abituata a far la prima della classe ma poi le scoppiano i casi Volkswagen». Negli Stati Uniti si parla di riutilizzo di gas naturale a zero emissioni, l’Europa sta puntando sullo sviluppo delle energie rinnovabili («costose, con poca resa, perlopiù non trasportabili») e in Cina come negli Usa lo “shale gas” sta diventando regola: è il cosiddetto “gas di scisto” intrappolato nelle rocce a circa 2-3 chilometri di profondità, nelle rocce sedimentarie. «Poi ci sarebbero i clatrati – che Rubbia ha citato nella commissione ambiente del Senato, nel gennaio 2016, lasciando tutti interdetti – che sono disponibili nelle profondità degli oceani: in sostanza, metano in quantità infinita». Ma anche questa soluzione, dice ancora Facci, non pare interessare alla comunità mondiale: «Che nega oppure si fustiga, si colpevolizza e soprattutto si crogiola nel proprio antropocentrismo».
Facci allarga l’orizzonte, oltre il momento presente (la cui declinazione italiana affonda nel ridicolo, con il surreale “green new deal” propalato dal Conte che tasserebbe volentieri le merendine a scuola). Per Facci, l’umanità «si è illusa che a salvare o distruggere la biosfera di un intero pianeta possa essere una volontà politica, e non – come capita da milioni di anni in tutto l’universo – la natura stessa». Secondo il professor Prestininzi, uno dei 500 scienziati che hanno rivolto all’Onu un appello che smentisce l’allarmismo di Greta, le proiezioni impiegate per dichiarare l’emergenza climatica vengono smentite dai dati reali rilevati negli ultimi 15 anni. I modelli dell’Ipcc, dice, «sono incapaci di simulare ciò che è avvenuto negli ultimi 5mila anni», ovvero un lasso di tempo molto ampio, nel corso del quale «si sono verificate forti variazioni della temperatura globale, in presenza però di concentrazioni molto basse di anidride carbonica nell’atmosfera». Tralasciando per un attimo le controversie climatologiche e geofisiche, è impossibile non vedere il “frame” nel quale il fenomeno Greta circoscrive il pensiero, artificiosamente lineare, di milioni di individui: il cambiamento climatico – presentato come eccezione, anziché consuetudine fisiologica della Terra – viene declassato al rango di guasto socio-politico (rimediabile, benché gravissimo). Corollario: il senso di colpa che inonda i consumatori, convinti di esserne la causa principale.
Una forma di ipnosi collettiva, in sostanza, che ricorda la forma mentis bimillenaria fabbricata dall’invenzione del peccato originale: semplice letteratura, da Paolo di Tarso a Sant’Agostino, creata deformando platealmente la Genesi. Sottomissione: è lo schema psicologico, comodissimo, su cui si fonda qualsiasi dominazione. Come molte altre, anche la religione di Greta Thunberg prospetta un mondo virtuale, tridimensionale e sostanzialmente lineare, fondato su certezze presentate come incontrovertibili. La riedizione social del verbo millenarista aiuterebbe a orientarsi nel grande caos dell’inconoscibile, se solo fosse una bussola attendibile. La grande notizia di quest’ultimissima fase, invece, è proprio la frana vistosa di moltissime credenze consolidate. Le recenti smagliature nella storica reticenza delle autorità militari in materia di vita extraterrestre, per esempio, minano in modo devastante quel che resta dell’antico antropocentrismo, di cui il culto di Greta sembra rinverdire i fasti. La scienziata italiana Barbara Negri parla di “vita-forming”, dando piena dignità accademica alla suggestiva rilettura dei testi antichi (inclusa la Bibbia) che raccontano l’origine dell’homo sapiens come prodotto genetico ottenuto a tavolino, mediante clonazione, ad opera di misteriosi visitatori alieni. E se fosse proprio così?
Ipotesi: se l’umanità fosse realmente una sorta di esperimento zootecnico controllato a distanza, davvero gli evolutissimi allevatori lascerebbero ai rozzi umani la possibilità di autodistruggere impunemente l’allevamento, inquinandolo a morte a causa della loro cieca avidità? Siamo fatti “della stessa sostanza del Padre”, come il credo niceno afferma del Cristo, “generato, non creato”? Siamo stati progettati “a immagine e somiglianza” dell’ipotetica divinità? E’ questione di parole, avverte il biblista Mauro Biglino: l’Antico Testamento dice che, in realtà, il prototipo maschile (l’Adàm) è stato fabbricato “con la sostanza che contiene l’immagine”, cioè con il Dna. Siamo figli delle stelle, o almeno pronipoti degli antichi astronauti di cui parlano tutte le civiltà primitive? Il sapere ufficiale esita ad ammetterlo: anche perché l’archeologia, afferma uno storico indipendente come Nicola Bizzi, è rimasta l’unica branca della conoscenza a non contemplare l’utile incrocio delle competenze multidisciplinari. In altre parole: geologi e palentologi, biologi e climatologi arrivano laddove gli archeologi non osano ancora spingersi. Cioè a rivoluzionare radicalmente la datazione dell’intera nostra cronistoria civile, fino a ieri ferma alla Mesopotamia sumerica.
Nell’Ottocento fu canzonato all’unisono da tutti i circuiti scientifici, il commerciante tedesco Heinrich Schiemann, quando sostenne di poter rintracciare le rovine di Troia basandosi sui versetti dell’Iliade. Oggi, analoghi sapientoni si rifiutano di riconoscere la clamorosa scoperta di Semir Osmanagich, antropologo già in forza all’università di Houston: stando al radiocarbonio, le gigantesche piramidi di Visoko, rinvenute a mezz’ora da Sarajevo, furono erette non meno di 30.000 anni fa, con ciclopici mattoni di calcestruzzo. Da chi? Nessuno sa rispondere nemmeno sull’origine del complesso monumentale affiorato recentemente a Göbekli Tepe, in Turchia: è datato 11.500 anni, più o meno all’epoca della “pioggia cometaria” che devastò il pianeta, fino a produrre – dopo la glaciazione – la gigantesca alluvione (il diluvio universale?) che ridisegnò la geografia delle terre emerse, sommergendo intere civiltà rivierasche. Chi c’era sulla Terra, al posto nostro, dodicimila anni fa? La verità è che non lo sappiamo – almeno, non ancora. E facciamo di tutto per continuare a non saperlo, ostacolando i giovani archeologi che oggi mettono in discussione le antiche sicurezze. In compenso, siamo arruolati (a milioni) nella nuova religione della Thunberg, basata sul gossip scientista del trend apocalittico dell’ultima moda ecologista. Un “frame” angusto ma etico, politicamente corretto come l’élite mondialista neoliberale: una fede perfetta per intubare l’orizzonte dentro pretese certezze, piccine come Greta.

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