Quantcast
Channel: LIBRE » Impero Romano
Viewing all articles
Browse latest Browse all 124

Laghi della morte: il Camerun “spiega” le Piaghe d’Egitto

$
0
0

«Ma io indurirò il cuore del faraone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d’Egitto», fa dire a Yahvè il libro biblico dell’Esodo. «Il faraone non vi ascolterà e io porrò la mano contro l’Egitto con grandi castighi e farò così uscire dal paese d’Egitto le mie schiere, il mio popolo Israel». Allora, aggiunge l’Elohim con cui è in contatto Mosè, «gli egiziani sapranno che io sono il signore quando stenderò la mano contro l’Egitto e farò uscire di mezzo a loro gli israeliti». Detto fatto. Seguono, nell’ordine: la “tramutazione dell’acqua in sangue”, l’invasione di rane dai corsi d’acqua, la comparsa di nubi di zanzare e mosche. Eventi catastrofici per l’agricoltura, cui segue una disastrosa morìa del bestiame, mentre gravi ulcerazioni piagano il corpo di animali ed esseri umani. Il cielo è spaventosamente minaccioso, per via della “pioggia di fuoco e ghiaccio”, mentre il terreno viene invaso da un’altra specie infestante – le locuste – e la Terra precipita nelle tenebre. Infine, la tragedia: la morte dei primogeniti maschi. Fantasie apocalittiche? Linguaggio simbolico “da contestualizzare”, come spesso sostiene chi dice che la Bibbia – qua e là – vada interpretata in chiave allegorica? Non è detto. Ben tre laghi africani, infatti, danno vita a fenomeni pressoché identici a quelli descritti nell’Esodo.

In quei bacini, l’acqua diventa improvvisamente rosso-sangue, provocando l’intero ciclo di calamità descritte nell’Antico Testamento, fino alla strage degli esseri umani. Il cielo nero e la “grandine” di fuoco? Si manifesta regolarmente, ad ogni maxi-Il Lago Nyoseruzione. E i laghi Nyos, Monoun e Kivu – tra Camerun, Ruanda e Congo – sono “bombe a orologeria”. I tre laghi, scrive Francesca Spanò sul “Messaggero”, sorgono all’interno di crateri vulcanici pronti a rilasciare esalazioni di anidride carbonica da un momento all’altro. Sono «tre laghi mortali che, nel tempo, hanno provocato disastri notevoli e la morte di uomini e animali che si trovavano nelle immediate vicinanze e anche piuttosto distanti». Come è possibile che un tranquillo bacino possa diventare un killer spietato, fino a causare una strage? Colpa dell’attività vulcanica al di sotto dei fondali, dove avviene un improvviso rilascio di biossido di carbonio: «Il magma produce una quantità enorme di gas irrespirabile, che si ferma appena sopra lo specchio d’acqua: di lì inizia la sua azione letale». Uno dei primi a lasciare l’opinione pubblica affranta e senza parole, ricorda il “Messaggero”, è stato il lago Monoun nel 1984. In quell’anno, infatti, a causa della produzione di una nube di anidride carbonica, uccise ben 37 persone. «Purtroppo, qualcosa di simile accadde nel 1986 col Nyos, con un bilancio davvero drammatico: persero la vita in un solo giorno ben 1.700 persone e 3.500 capi di bestiame».

Le popolazioni del luogo, evidentemente, conoscono quegli effetti da secoli. Ma in passato, non essendo riusciti a trovare una spiegazione scientifica, gli indigeni hanno creduto che specialmente il Nyos fosse abitato da “spiriti assassini”. Nel 2001 e nel 2010, intanto, lo Stato del Camerun ha installato nel lago un sistema di “degassamento” costituito da un sifone che aspira acqua dal fondo, in modo che il gas – fuoriuscendo – non causi più danni. Tuttavia – aggiunge sempre il “Messaggero” – se dovesse crollare la diga naturale di roccia vulcanica che trattiene le sue acque, sarebbero a rischio oltre diecimila persone. Il lago Nyos si trova nella provincia nord-occidentale del Camerun. E’ profondo oltre 200 metri e, sotto il suo fondale, ospita un vulcano quiescente nel massiccio del Monte Oku. «A sollevare le sostanze nocive potrebbero essere dei piccoli fenomeni naturali come una frana che, muovendo le acque dei laghi, creano squilibrio». Un killer silenzioso, il vulcano sotto il lago, anche nel caso del Monoun, che il 15 agosto del 1984 visse la sua pagina più drammatica. Di colpo si spense il motore di un Moria di bestiame sulle rive del Nyoscamion, nelle vicinanze, con una dozzina di passeggeri a bordo: non ci fu verso di farlo ripartire, e nel frattempo i presenti morirono tutti per asfissia. Nei villaggi vicini la stessa sorte toccò ad altre 27 persone, uccise nel sonno.

All’inizio si pensò a un attentato, scrive sempre Francesca Spanò sul “Messaggero”, ma poi i sopravvissuti parlarono di una «esplosione lontana» avvertita nel pomeriggio e di una «leggera nebbia» che aveva ricoperto l’aria, mentre il lago «aveva assunto un colore simile alla ruggine». Il terzo bacino sotto esame, il Kivu, è considerato tra i più grandi laghi africani. Si estende tra il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo, e le sue acque sono costellate di isolotti. «La sua sconcertante storia – scrive Spanò – ebbe inizio quando qui vennero gettati i corpi delle vittime del genocidio ruandese». Poi, gli esperti «hanno notato nel bacino lacustre le stesse caratteristiche degli altri due: le emissioni di anidride carbonica letali». Se si verificasse un’eruzione massiccia, attorno al lago Kivu si calcola che «potrebbero morire fino a due milioni di persone». E come comincia a manifestarsi, la catastrofe? Nel modo indicato dalla Bibbia: l’acqua si colora improvvisamente di rosso, le rane fuggono e i pesci (senza più ossigeno) muoiono a migliaia. Proprio la putrefazione innescata dal disastro ittico, insieme alle punture degli insetti molesti, Gigantesca moria di pescigenera le “piaghe” sulla pelle di uomini e animali, causando infezioni che determinano anche la morìa del bestiame. Mosche, zanzare e cavallette – anch’esse in fuga dalle rive del lago, il cui habitat è sconvolto – completano l’apocalittico scenario narrato nell’Esodo.

Una analogia impressionante, che non è sfuggita all’esegeta Mauro Biglino, lo studioso italiano che ha reso popolare la riscoperta della Bibbia in base alla rilettura testuale dell’ebraico antico giunto fino a noi, cioè la Bibbia “riscritta” dai Masoreti nel medioevo, fino all’epoca di Carlomagno. Se si sgombra il campo dal filtro dell’interpretazione teologica, afferma Biglino, il più delle volte, la versione dell’Antico Testamento a nostra disposizione (ben lontana da quella originaria, andata perduta) racconta una storia sostanzialmente coerente: sembra testimoniare il legittimo sforzo, da parte degli antenati ebrei, di dare risalto all’origine del loro popolo. Lo hanno fatto tutti, anche con i poemi epici – i romani, ad esempio, con l’Eneide. Se si considera la Bibbia alla stregua di un libro di storia, aggiunge Biglino, si scopre che (come ogni altro testo storiografico, di ieri e di oggi) contiene alcune precise verità, accanto a omissioni, imprecisioni, dimenticanze e, talora, palesi falsificazioni. Le famose Piaghe d’Egitto? L’aspetto manipolatorio potrebbe essere costituito dal preteso intervento “magico” del condottiero Yahvè, ma non dalla catastrofe descritta – che, come si vede, è perfettamente riprodotta nei drammatici eventi che hanno sconvolto il Camerun.

Un altro studioso, il simbologo Gianfranco Carpeoro, della Bibbia sottolinea l’aspetto simbolico: nel pieno rispetto del lavoro di Biglino (cioè l’attento esame della lettura testuale), Carpeoro indaga lo schema – ricorrente, anche nei testi antichi – della componente che, attraverso simboli e miti, “traduce” gli archetipi onnipresenti sottotraccia. Si tratta di eventi primordiali e senza tempo, che gli estensori – raccontando la loro storia – hanno voluto tramandare, in parallelo. Proprio l’enigmatico “pensiero” contenuto nei simboli, spiega Carpeoro, spinge il lettore a domandarsi essenzialmente il perché delle cose, superando l’apparenza superficiale del “come”, che è invece prerogativa del “pensiero magico”, cioè il modulo adottato in ogniCarpeorotempo dal potere per soggiogare i sudditi, istituendo forme di dominio. Un’analisi che include anche «la deriva “magica” delle religioni», che secondo Carpeoro ha corrotto e deviato la loro ispirazione iniziale, creando la categoria (inesistente) del “soprannaturale”, «che non è altro che il “naturale” di cui ancora non conosciamo il funzionamento fisico».

Se qualcuno accede a conoscenze particolari, tutto dipende dall’uso che ne farà. Se non le condivide, gli consentiranno di comportarsi da “mago” per prevalere sui suoi simili, vantando poteri straordinari: il “mago” presenterà immancabilmente come “prodigiosi” alcuni eventi che invece sono perfettamente naturali – come, appunto, i laghi rosso-sangue dell’Africa centrale? E a proposito di fenomeni apparentemente inspiegabili, all’epoca della presenza ebraica in Egitto: i sacerdoti egizi erano celebri per i trucchetti illusionistici cui ricorrevano frequentemente, aggiunge Carpeoro, dal momento che avevano smarrito da secoli l’iniziale rapporto con il “divino”, da cui era nata la loro religione, progressivamente degradatasi. Sul fronte dell’approccio spiritualistico, sia pure da un’angolazione diversa, lo stesso Biglino è chiarissimo: «Lo Studio della Bibbia non mi permette in alcun modo di affermare che Dio non esista. Mi permette solo di confermare che l’Antico Testamento, alla lettera, non parla mai di Dio – di nessun Dio “creatore”. Semplicemente, il testoBiglinoebraico narra di Yahvè, presentandolo come uno dei tanti Elohim presenti all’epoca in Medio Oriente: individui in carne ossa, molto potenti ma non certo onnipotenti, né tantomeno “eterni” e immortali».

Quanto all’apparente mistero delle Piaghe d’Egitto, che sembra svelato dai drammatici eventi naturali verificatisi sulle sponde dei laghi vulcanici come il Nyos (nome che ricorda da vicino quello del Nilo), Biglino precisa: lo stesso Libro dell’Esodo scrive che a colorarsi di rosso non furono direttamente le acque del grande fiume egiziano, bensì quelle di uno dei tanti canali nella zona del delta, presso cui era stanziata la popolazione che poi, sempre secondo l’Esodo, l’egiziano Mosè avrebbe condotto verso la Palestina (non superando il Mar Rosso, mai citato nella Bibbia, ma solo guadando uno “jam suf”, cioè un canneto acquitrinoso, tipico del delta del Nilo). Quanto al drastico oscuramento del cielo, sembra essere citato da un papiro risalente agli Hyksos, popolazione di stirpe semitica che aveva fatto della vicina città di Ávaris (oggi Tell el-Dab’a) la capitale del suo regno, guidato dai suoi faraoni (XV dinastia), dopo aver invaso l’Egitto attorno al 1600 avanti Cristo. La vicenda narrata dall’Esodo di Mosè, scritta mille anni dopo, si ritiene databile attorno al 1200. Ed è proprio nel secondo millennio avanti Cristo che si registra l’epocale eruzione minoica di Thera, quella del vulcano Santorini, ricordata come immane catastrofe in tutto il bacino del Mediterraneo.

«Siamo all’epoca del faraone Ahmose», precisa Biglino, in una conferenza ripresa su YouTube. Curiosità: in ebraico, “Ahmose” significherebbe “fratello di Mosè”. «Era il faraone che sconfisse gli Hyksos, dando poi origine alla XVIII dinastia egizia». La Bibbia infatti dice: “Venne un faraone che non conosceva più Giuseppe”. «Cioè: salì al trono egizio un faraone che non era più di stirpe semitica». Secondo la ricostruzione dei sismologi, la devastante esplosione di Santorini avrebbe prodotto una colonna di ceneri alta 40 chilometri e una nuvola nera del diametro di qualcosa come 200 chilometri, fino appunto a oscurare Eruzione vulcanica a Balicompletamente il cielo (precipitando la terra nella “tenebra”, cioè la nona Piaga d’Egitto citata dall’Esodo). Da questa nuvola, aggiunge Biglino, scendevano lapilli incandescenti, insieme a cristalli di silice e alla “grandine” originata dalla solidificazione, in quota, del vapore acqueo fuoriuscito dal vulcano. Ricapitolando: le emergenze sanitarie sulle rive dei laghi africani improvvisamente divenuti “color sangue” (a causa dell’affiorare di idrossido di ferro) si sommano al “cielo di tenebra” da cui proviene la spaventosa “grandine di fuoco”.

Per dare una spiegazione razionale allo scenario apocalittico descritto nell’Esodo manca un ultimo aspetto, in apparenza inspiegabile: la strage, selettiva, dei primogeniti maschi (non tutti, probabilmente, ma un numero comunque rilevante). Nessun mistero, spiega Biglino, neppure qui: l’egittologia conferma che, nel regno dei faraoni, proprio i maschietti nati per primi godevano di un particolare privilegio, almeno nelle famiglie benestanti. A differenza dei genitori, dei fratelli e delle sorelle, dormivano infatti in graziosi lettini, alti appena una spanna dal pavimento, o poco più. Potrebbero essere bastati per esporre i piccoli – e solo loro – non alla “soprannaturale” Ahmose Ibrutalità del presunto carnefice Yahvè, ma all’esalazione (più prosaica, e ben più micidiale) dei gas venefici scaturiti dal sottosuolo vulcanico, responsabile dell’improvvisa colorazione delle acque.

E’ noto che i gas “pesanti” possono infatti fluttuare a una precisa distanza dal suolo, restando a mezz’aria. Probabilissimo, dunque, che il lettino dei primogeniti egizi (a pochi centimetri da terra) si sia trasformato nella loro tomba, in quell’area nel nord-est del delta del Nilo. Tra le probabili vittime anche Sipair, figlio del faraone Ahmose, deceduto ad appena di 12 anni di età. Una tragica morte silenziosa, nel sonno, come quella che anche di recente ha colpito la popolazione del Camerun sulle rive dei “laghi maledetti”. Gli esperti accorsi sul posto, spiega Biglino, hanno accertato che sulle rive del Nyos sono morte soltanto le persone che dormivano a terra. Un ulteriore indizio sulla “strage dei primogeniti” viene dalla recente scoperta dell’archeologo austriaco Manfred Bietak: proprio ad Ávaris ha scovato un’insolita fossa comune, dove i corpi – moltissimi e accatastati uno sull’altro, come se fossero stati sepolti in tutta fretta, senza i tradizionali onori funebri egizi – sono sovrastati da resti ossei di giovani e giovanissimi. «Questo ritrovamento rivela una morìa che ha colpito indiscriminatamente uomini, donne e bambini, producendo un gran numero di cadaveri che hanno dovuto essere eliminati rapidamente. Subito dopo, c’è stata una morìa che ha colpito maschi giovani». Se supponiamo che la fossa comune di Ávaris sia una traccia della famosa tragedia collettiva citata dall’Esodo, conclude Biglino, probabilmente non siamo lontani da quella che sembra essere una verità storica.

«Ma io indurirò il cuore del faraone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nel paese d’Egitto», fa dire a Yahvè il libro biblico dell’Esodo. «Il faraone non vi ascolterà e io porrò la mano contro l’Egitto con grandi castighi e farò così uscire dal paese d’Egitto le mie schiere, il mio popolo Israel». Allora, aggiunge l’Elohim con cui è in contatto Mosè, «gli egiziani sapranno che io sono il signore quando stenderò la mano contro l’Egitto e farò uscire di mezzo a loro gli israeliti». Detto fatto. Seguono, nell’ordine: la “tramutazione dell’acqua in sangue”, l’invasione di rane dai corsi d’acqua, la comparsa di nubi di zanzare e mosche. Eventi catastrofici per l’agricoltura, cui segue una disastrosa morìa del bestiame, mentre gravi ulcerazioni piagano il corpo di animali ed esseri umani. Il cielo è spaventosamente minaccioso, per via della “pioggia di fuoco e ghiaccio”, mentre il terreno viene invaso da un’altra specie infestante – le locuste – e la Terra precipita nelle tenebre. Infine, la tragedia: la morte dei primogeniti maschi. Fantasie apocalittiche? Linguaggio simbolico “da contestualizzare”, come spesso sostiene chi dice che la Bibbia – qua e là – vada interpretata in chiave allegorica? Non è detto. Ben tre laghi africani, infatti, danno vita a fenomeni pressoché identici a quelli descritti nell’Esodo.
In quei bacini, l’acqua diventa improvvisamente rosso-sangue, provocando l’intero ciclo di calamità descritte nell’Antico Testamento, fino alla strage degli esseri umani. Il cielo nero e la “grandine” di fuoco? Si manifesta regolarmente, ad ogni maxi-eruzione. E i laghi Nyos, Monoun e Kivu – tra Camerun, Ruanda e Congo – sono “bombe a orologeria”. I tre laghi, scrive Francesca Spanò sul “Messaggero”, sorgono all’interno di crateri vulcanici pronti a rilasciare esalazioni di anidride carbonica da un momento all’altro. Sono «tre laghi mortali che, nel tempo, hanno provocato disastri notevoli e la morte di uomini e animali che si trovavano nelle immediate vicinanze e anche piuttosto distanti». Come è possibile che un tranquillo bacino possa diventare un killer spietato, fino a causare una strage? Colpa dell’attività vulcanica al di sotto dei fondali, dove avviene un immprovviso rilascio di biossido di carbonio: «Il magma produce una quantità enorme di gas irrespirabile, che si ferma appena sopra lo specchio d’acqua: di lì inizia la sua azione letale». Uno dei primi a lasciare l’opinione pubblica affranta e senza parole, ricorda il “Messaggero”, è stato il lago Monoun nel 1984. In quell’anno, infatti, a causa della produzione di una nube di anidride carbonica, uccise ben 37 persone. «Purtroppo, qualcosa di simile accadde nel 1986 col Nyos, con un bilancio davvero drammatico: persero la vita in un solo giorno ben 1.700 persone e 3.500 capi di bestiame».
Le popolazioni del luogo, evidentemente, conoscono quegli effetti da secoli. Ma in passato, non essendo riusciti a trovare una spiegazione scientifica, gli indigeni hanno creduto che specialmente il Nyos fosse abitato da “spiriti assassini”. Nel 2001 e nel 2010, intanto, lo Stato del Camerun ha installato nel lago un sistema di “degassamento” costituito da un sifone che aspira acqua dal fondo, in modo che il gas – fuoriuscendo – non causi più danni. Tuttavia – aggiunge sempre il “Messaggero” – se dovesse crollare la diga naturale di roccia vulcanica che trattiene le sue acque, sarebbero a rischio oltre diecimila persone. Il lago Nyos si trova nella provincia nord-occidentale del Camerun. E’ profondo oltre 200 metri e, sotto il suo fondale, ospita un vulcano quiescente nel massiccio del Monte Oku. «A sollevare le sostanze nocive potrebbero essere dei piccoli fenomeni naturali come una frana che, muovendo le acque dei laghi, creano squilibrio». Un killer silenzioso, il vulcano sotto il lago, anche nel caso del Monoun, che il 15 agosto del 1984 visse la sua pagina più drammatica. Di colpo si spense il motore di un camion, nelle vicinanze, con una dozzina di passeggeri a bordo: non ci fu verso di farlo ripartire, e nel frattempo i presenti morirono tutti per asfissia. Nei villaggi vicini la stessa sorte toccò ad altre 27 persone, uccise nel sonno.
All’inizio si pensò a un attentato, scrive sempre Francesca Spanò sul “Messaggero”, ma poi i sopravvissuti parlarono di una «esplosione lontana» avvertita nel pomeriggio e di una «leggera nebbia» che aveva ricoperto l’aria, mentre il lago «aveva assunto un colore simile alla ruggine». Il terzo bacino sotto esame, il Kivu, è considerato tra i più grandi laghi africani. Si estende tra il Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo, e le sue acque sono costellate di isolotti. «La sua sconcertante storia – scrive Spanò – ebbe inizio quando qui vennero gettati i corpi delle vittime del genocidio ruandese». Poi, gli esperti «hanno notato nel bacino lacustre le stesse caratteristiche degli altri due: le emissioni di anidride carbonica letali». Se si verificasse un’eruzione massiccia, attorno al lago Kivu si calcola che «potrebbero morire fino a due milioni di persone». E come comincia a manifestarsi, la catastrofe? Nel modo indicato dalla Bibbia: l’acqua si colora improvvisamente di rosso, le rane fuggono e i pesci muoiono a migliaia. Proprio la putrefazione innescata dal disastro ittico genera le “piaghe” sulla pelle di uomini e animali, causando infezioni che determinano la morìa del bestiame. Mosche, zanzare e cavallette – anch’esse in fuga dalle rive del lago, il cui habitat è sconvolto – completano l’apocalittico scenario narrato nell’Esodo.
Una analogia impressionante, che non è sfuggita all’esegeta Mauro Biglino, lo studioso italiano che ha reso popolare la riscoperta della Bibbia in base alla rilettura testuale dell’ebraico antico giunto fino a noi, cioè la Bibbia “riscritta” dai Masoreti nel medioevo, fino all’epoca di Carlomagno. Se si sgombra il campo dal filtro dell’interpretazione teologica, afferma Biglino, il più delle volte, la versione dell’Antico Testamento a nostra disposizione (ben lontana da quella originaria, andata perduta) racconta una storia sostanzialmente coerente: sembra testimoniare il legittimo sforzo, da parte degli antenati ebrei, di dare risalto all’origine del loro popolo. Lo hanno fatto tutti, anche con i poemi epici – i romani, ad esempio, con l’Eneide. Se si considera la Bibbia alla stregua di un libro di storia, aggiunge Biglino, si scopre che (come ogni altro testo storiografico, di ieri e di oggi) contiene alcune precise verità, accanto a omissioni, imprecisioni, dimenticanze e, talora, palesi falsificazioni. Le famose Piaghe d’Egitto? L’aspetto manipolatorio potrebbe essere costituito dal preteso intervento “magico” del condottiero Yahvè, ma non dalla catastrofe descritta – che, come si vede, è perfettamente riprodotta nei drammatici eventi che hanno sconvolto il Camerun.
Un altro studioso, il simbologo Gianfranco Carpeoro, della Bibbia sottolinea l’aspetto simbolico: nel pieno rispetto del lavoro di Biglino (cioè l’attento esame della lettura testuale), Carpeoro indaga lo schema – ricorrente, anche nei testi antichi – della componente che, attraverso simboli e miti, “traduce” gli archetipi onnipresenti sottotraccia. Si tratta di eventi primordiali e senza tempo, che gli estensori – raccontando la loro storia – hanno voluto tramandare, in parallelo. Proprio l’enigmatico “pensiero” contenuto nei simboli, spiega Carpeoro, spinge il lettore a domandarsi essenzialmente il perché delle cose, superando l’apparenza superficiale del “come”, che è invece prerogativa del “pensiero magico”, cioè il modulo adottato in ogni tempo dal potere per soggiogare i sudditi, istituendo forme di dominio. Un’analisi che include anche «la deriva “magica” delle religioni», che secondo Carpeoro ha corrotto e deviato la loro ispirazione iniziale, creando la categoria (inesistente) del “soprannaturale”, «che non è altro che il “naturale” di cui ancora non conosciamo il funzionamento fisico».
Se qualcuno accede a conoscenze particolari, tutto dipende dall’uso che ne farà. Se non le condivide, gli consentiranno di comportarsi da “mago” per prevalere sui suoi simili, vantando poteri straordinari: il “mago” presenterà immancabilmente come “prodigiosi” alcuni eventi che invece sono perfettamente naturali – come, appunto, i laghi rosso-sangue dell’Africa centrale? E a proposito di fenomeni apparentemente inspiegabili, all’epoca della presenza ebraica in Egitto: i sacerdoti egizi erano celebri per i trucchetti illusionistici cui ricorrevano frequentemente, aggiunge Carpeoro, dal momento che avevano smarrito da secoli l’iniziale rapporto con il “divino”, da cui era nata la loro religione, progressivamente degradatasi. Sul fronte dell’approccio spiritualistico, sia pure da un’angolazione diversa, lo stesso Biglino è chiarissimo: «Lo Studio della Bibbia non mi permette in alcun modo di affermare che Dio non esista. Mi permette solo di confermare che l’Antico Testamento, alla lettera, non parla mai di Dio – di nessun Dio “creatore”. Semplicemente, il testo ebraico narra di Yahvè, presentandolo come uno dei tanti Elohim presenti all’epoca in Medio Oriente: individui in carne ossa, molto potenti ma non certo onnipotenti, né tantomeno “eterni” e immortali».
Quanto all’apparente mistero delle Piaghe d’Egitto, che sembra svelato dai drammatici eventi naturali verificatisi sulle sponde dei laghi vulcanici come il Nyos (nome che ricorda da vicino quello del Nilo), Biglino precisa: lo stesso Libro dell’Esodo scrive che a colorarsi di rosso non furono direttamente le acque del grande fiume egiziano, bensì quelle di uno dei tanti canali nella zona del delta, presso cui era stanziata la popolazione che poi, sempre secondo l’Esodo, l’egiziano Mosè avrebbe condotto verso la Palestina (non superando il Mar Rosso, mai citato nella Bibbia, ma solo guadando uno “jam suf”, cioè un canneto acquitrinoso, tipico del delta del Nilo). Lo stesso evento, innescato dall’improvvisa colorazione rosso-sangue delle acque, sembra essere citato da un papiro risalente agli Hyksos, popolazione di stirpe semitica che nella città egizia di Avaris (oggi Tell el-Dab’a) avevano istituito il loro regno, con i loro faraoni (XV dinastia) dopo aver invaso l’Egitto attorno al 1600 avanti Cristo. La vicenda narrata dall’Esodo di Mosè, scritta mille anni dopo, si ritiene databile attorno al 1200. Ed è proprio nel secondo millennio avanti Cristo che si registra l’epocale eruzione minoica di Thera, quella del vulcano Santorini, ricordata come immane catastrofe in tutto il bacino del Mediterraneo.
«Siamo all’epoca del faraone Achmose», precisa Biglino, in una conferenza ripresa su YouTube. Curiosità: in ebraico, “Achmose” significa “fratello di Mosè”. «Era il faraone che sconfisse gli Hyksos, dando poi origine alla XVIII dinastia egizia». La Bibbia infatti dice: “Venne un faraone che non conosceva più Giuseppe”. «Cioè: salì al trono egizio un faraone che non era più di stirpe semitica». Secondo la ricostruzione dei sismologi, la devastante esplosione di Santorini avrebbe prodotto una colonna di ceneri alta 40 chilometri e una nuvola nera del diametro di qualcosa come 200 chilometri, fino appunto a oscurare completamemte il cielo (precipitando la terra nella “tenebra”, cioè la nona Piaga d’Egitto citata dall’Esodo). Da questa nuvola, aggiunge Biglino, scendevano lapilli incandescenti, insieme a cristalli di silice e alla “grandine” originata dalla solidificazione, in quota, del vapore acqueo fuoriuscito dal vulcano. Ricapitolando: le emergenze sanitarie sulle rive dei laghi africani improvvisamente divenuti “color sangue” si sommano al “cielo di tenebra” da cui proviene la spaventosa “grandine di fuoco”.
Per dare una spiegazione razionale allo scenario apocalittico descritto nell’Esodo manca un ultimo aspetto, in apparenza inspiegabile: la strage, selettiva, dei primogeniti maschi. Nessun mistero, spiega Biglino, neppure qui: l’egittologia conferma che, nel regno dei faraoni, proprio i maschietti nati per primi godevano di un particolare privilegio. A differenza dei genitori, dei fratelli e delle sorelle, dormivano in graziosi lettini, alti appena una spanna dal pavimento, o poco più. Potrebbero essere bastati per esporre i piccoli – e solo loro – non alla “soprannaturale” brutalità del carnefice Yahvè, ma all’esalazione (più prosaica, e ben più micidiale) dei gas venefici scaturiti dal sottosuolo vulcanico, responsabile dell’improvvisa colorazione delle acque. E’ noto che i gas possono infatti fluttuare a una precisa distanza dal suolo, restando a mezz’aria. Possibilissimo, dunque, che il lettino-culla dei primogeniti egizi (a pochi centimetri da terra) si sia trasformato nella loro tomba. Una tragica morte silenziosa, nel sonno, come quella che anche di recente ha colpito la popolazione del Camerun sulle rive dei “laghi maledetti”.

Viewing all articles
Browse latest Browse all 124

Trending Articles